Michela, da sasso a bellissima pianta

Michela, da sasso a bellissima pianta

La storia di Michela, una mamma che ha affrontato la malattia con razionalità e delicatezza, testimonia l’importanza delle cure estetiche specializzate durante la terapia oncologica.

Quella di Michela non è una storia di trasformazione, non è una storia di autocompatimento, né di nostalgia, ma piuttosto un cammino di consapevolezza, forte come la sua razionalità e delicato come la sua presenza.

Michela non parla ad alta voce, scandisce le parole e le ricerca, perché la definizione di quanto le è successo va ricercata nell’intimità. 

E mentre parla si riesce a capire come la malattia possa riservare strani doni, non cercati, non voluti, ma che una volta ricevuti cambiano il modo con cui si guarda a noi stessi e alla vita, facendoci gustare attimi, presenze, ma anche riportandoci al nostro io più intimo, in quella aderenza primordiale che con gli anni è andata perduta, negli impegni, nelle responsabilità e nei pensieri di tutti i giorni.

Quasi a dirci fermati un attimo e ascoltati, tu sei qui, sei questo, non sei un sasso, sempre identico a se stesso, privo di percezioni e di emozioni. Tu sei una pianta, viva, che cresce, che affronta il cambiamento, che ha bisogno delle cure e del rispetto degli altri per rimanere in vita e dell’acqua e del sole per nutrirsi, e prosperare. E che può tornare ad essere più forte di prima, anche dopo una lunga siccità. 

Una bellissima pianta. Questa immagine, parafrasando il titolo del libro che Michela ha letto ai propri figli per fargli comprendere la malattia, è anche una metafora che suona bene, parlando di lei. 

Michela, come hai scoperto di avere un nodulo al seno?

Se ne accorse mio marito per caso. Avendo 43 anni al momento dell’accaduto non rientravo nello screening previsto dall’Ulss e non essendoci stato alcun caso in famiglia di tumore al seno, e ti assicuro che siamo una famiglia molto al femminile, non mi sono mai nemmeno preoccupata di fare un controllo preventivo.

Invece una sera, mentre stavamo scherzando, mio marito mi sfiorò il seno e sentì qualcosa di “strano”. Era un nodulo ed era evidente. 

Il giorno dopo andai dal medico di base che mi suggerì di andare subito al Pronto Soccorso all’Ospedale di Borgo Trento. Aveva capito che c’era qualcosa che non andava.

Lo si capisce subito, quando c’è qualcosa che non va. Lo si vede dallo sguardo dei medici, dal loro parlarti con delicatezza e dal prendersi cura di te. Una volta in pronto soccorso mi mandarono immediatamente alla Breast Unit, dove nel giro di qualche giorno eseguirono sia l’ecografia che l’agoaspirato al linfonodo. 

Uno dei momenti più difficili fu quando, il giorno successivo, mentre stavamo attendendo il referto, mi chiamò una nostra parente radiologa dicendomi che si trattava di un carcinoma.

All’epoca non conoscevo gli sviluppi del tumore al seno e non feci nessun’altra ipotesi che la peggiore. In quel momento mi congelai. Non sapevo delle alte percentuali di guarigione (le più alte) e quelle tre ore che mi separarono dall’arrivo in ospedale furono tra le più difficili.

Una volta arrivata però fui subito rassicurata. I medici mi dissero che se avessi seguito tutto il loro protocollo, che comprendeva sedute di chemioterapia, radioterapia e l’intervento di asportazione del carcinoma, sarei guarita. Sono sempre stati tutti molto positivi. 

A quelle rassicurazioni e a quelle parole mi sciolsi in un pianto, che fu uno dei pochi che mi sarei concessa in quei mesi. 

Poi, avvenne qualcosa di inaspettato. Mi asciugai le lacrime ed entrai in una sorta di razionale distacco: fu come raffreddarsi, lasciar fuoriuscire tutti i pensieri e iniziare a organizzare ogni cosa per affrontare la situazione: i bambini, le cure, l’intervento. 

Dissi a mio marito che dovevamo pianificare cosa avremmo dovuto fare: fu come riorganizzare un momento della mia vita, inaspettato, che alla fine mi avrebbe comunque traghettato dall’altra parte, sulla sponda della mia vita di sempre.

Come hai affrontato questo nella tua vita quotidiana e con i tuoi figli?

Subito ho pensato che dovevo comunicare loro che avremmo dovuto fare i conti con la malattia, che sarebbe stata dura, ma che ero fortunata perché li potevo anche rassicurare sulla mia guarigione. 

Avevo quindi la possibilità di parlare a loro della malattia come di un periodo particolare, difficile, che avrebbe però avuto una fine. Avrei potuto spiegargli che la mamma sarebbe tornata alla vita di prima. Questo è stato un grande dono.

Prima della malattia ero in una fase della mia vita in cui era importante riuscire a fare tutte le cose che una famiglia richiedeva. Crescere i miei tre figli, con età ed esigenze diverse, essere vicina a mio marito. 

Inoltre c’era il mio lavoro, che amo molto. Io sono un’insegnante di matematica e scienze, compito molto impegnativo soprattutto oggi, e avevo organizzato tutti i tempi della mia giornata per poter seguire tutto.

In quel momento però capii che dovevo pensare a come affrontare le cose diversamente.

Come hai scelto le parole per parlarne ai tuoi bambini?

Faccio una premessa: io decisi subito di farmi aiutare da tutti quelli che lo potevano fare. Quindi sfruttai tutte le risorse che l’ospedale mi mise a disposizione. 

Il medico chirurgo che mi operò mi parlò anche della possibilità di lavorare con una psicologa. Fu lei ad indirizzarmi.

I miei figli hanno reagito in maniera diversa. Ho detto loro sempre tutta la verità, ma progressivamente, facendomi appunto aiutare dalla psicologia. 

Al momento dell’intervento gli spiegai che la mamma sarebbe stata via per quattro giorni, che sarebbe venuta a casa la loro zia e i nonni e che poi mi sarebbero venuti a trovare. Mai mentire loro. Da insegnante lo so bene. Anche agli studenti non puoi mai mentire.

Inoltre, ho un marito che è un angelo caduto dal cielo che in questo mi è stato molto vicino, ci siamo sempre confrontati e aiutati tantissimo.

Con mia figlia più grande, che ha fatto la quarta elementare, ho affrontato la situazione spigandole bene cosa stesse succedendo. Con il mio secondo figlio, che all’epoca aveva cinque anni, ho deciso di spiegare la malattia attraverso un libro che affronta i temi della cura, dalla chemioterapia alla radioterapia. Lo abbiamo letto insieme.

Il libro si intitola “La pazienza dei sassi” e spiega molto bene ad un bambino cosa sia la malattia di un genitore. Viene illustrato come attraverso le cure il sasso diventi pianta. E per dar seguito a quello che tutti noi abbiamo imparato, tutta la famiglia ora si prende cura delle piante in casa. 

La pianta è una bellissima immagine perché dà l’idea della pazienza e della crescita lenta. I bambini lo hanno capito e sono stati davvero bravi. Loro capiscono le hanno una marcia in più di quello che pensiamo. 

Come è iniziato il tuo percorso di cura?

In ospedale, in Borgo Trento, si sono presi cura di me. Mi sono sentita in ottime mani fin da subito. Chirurgo, oncologi e infermieri, nella loro unità specifica, dove lavorano in equipe in maniera multidiscilplinare, hanno valutato il mio caso. 

Tutti i medici coinvolti, dal chirurgo al chirurgo plastico, dall’oncologo al radioterapista, fino a tutti coloro che nel percorso mi hanno seguito, sono stati molto attenti, disponibili al dialogo e mi hanno illustrato sempre con chiarezza tutto il percorso. Ho trovato persone che mi hanno aiutato in più aspetti. 

Come è stato affrontare l’idea dell’operazione?

Io sono stata operata in dicembre e sono stata a scuola fino alla settimana prima. Questo mi è servito tanto.

Dai primi di novembre al giorno dell’intervento mi è servito lavorare, perché voleva dire affrontare razionalmente la malattia.

Ho detto ai miei ragazzi che me ne sarei andata per problemi di salute poco prima che succedesse. Sono stata accolta da tante dimostrazioni di affetto. Anche da parte dei genitori. 

I ragazzi di terza mi abbracciarono, mentre stavo uscendo dalla classe. In quel momento, a dire il vero, mi sono nuovamente commossa.

Cos’è cambiato dopo l’intervento?

Ho preso una nuova consapevolezza, soprattutto del fatto che mi stavo trascurando, indipendentemente dalla malattia. 

Mi sono quindi detta che dovevo rendere questa esperienza significativa per cambiare me stessa in senso positivo. Dovevo imparare a volermi più bene, a darmi più tempo, ad ascoltarmi, curarmi, staccarmi per un attimo dai bambini, e guardare me stessa. Cosa difficilissima perché io vorrei sempre i miei figli con me. 

Che cosa intendi per “tornare a se stessi”?

Ho deciso che volevo volermi più bene. Come ho detto mi sono fatta aiutare in tutti i sensi. Anche per questo mi sono informata sull’estetica oncologica e ho contattato Giovanna. 

Un’estetista competente a trattare le persone in terapia oncologica, grazie al percorso di Alta Formazione dell’Associazione Professionale Estetica Oncologica (APEO) che ha frequentato.

Seppi di lei mentre stavo facendo le chemio perché vidi un manifesto che parlava appunto della possibilità di cure estetiche per gli effetti collaterali dei trattamenti oncologici.

Nessuno me ne aveva mai parlato. E quando lessi di Giovanna pensai subito di contattarla perché vedevo la mia pelle che si era trasformata durante la cura ed era molto più secca.

Come è stato per te iniziare la chemioterapia?

Ero un po’ spaventata dagli effetti collaterali, ne parlai con i medici. Mi dissero che bisognava avere la sicurezza di aver fatto tutto quello che si doveva per guarire ed essendo in quel momento una mia scelta, decisi di farla.

Avrei anche potuto decidere di non fare la chemioterapia perché il mio intervento era andato molto bene e il carcinoma era stato tutto estirpato. Però non mi sono sentita di rischiare.

Ho terminato la cura qualche settimane fa e ora si vede già la ricrescita dei capelli. Gli effetti collaterali alla fine passano. 

Ho imparato che non bisogna avere fretta. Ho iniziato a prendermi il tempo anche a casa per la cura della mia persona, tempo per fare la doccia con calma, tempo per mettere i prodotti giusti per la mia pelle, tempo per tornare a me.

Tutto quello che è successo mi ha insegnato che ho bisogno di tempo, ed è una cosa che ci  dimentichiamo tutti. C’è sempre troppo da fare, c’è sempre da correre per sostenere tutto.

Come è cambiato il corpo e come hai vissuto questo cambiamento?

L’ho vissuto serenamente, con il pensiero che l’importante era concentrarmi sul volermi bene. 

Il mio corpo è cambiato e continuerà a cambiare. Ci sono delle attenzioni che dovrò avere sempre in futuro, come per esempio per il mio braccio dove sono stati tolti i linfonodi. 

Dovrò essere attenta a non prendere punture, al sole, magari non potrò più fare esattamente tutto ciò che facevo prima. Ma è una cosa che non mi spaventa.

Il mio corpo negli anni è già cambiato molto e continuerà a farlo. Non ho vissuto il cambiamento come un problema. 

Quello che ora mi piacerebbe è poter togliere finalmente il foulard e sgonfiarmi un po’ in viso per poter iniziare ad avvicinarmi alla mia normalità.

Come hanno vissuto i tuoi figli il cambiamento di aspetto?

Premetto che ho una parrucca ma non l’ho mai utilizzata. Ho preferito mettere un foulard. Mi sento a mio agio così, esco normalmente in questo modo e ai bambini l’ho spiegato.

I piccoli mi vedono tranquillamente senza capelli, invece la più grande fa più fatica, preferisce vedermi con il capo coperto. Io in questo ho fatto molto attenzione, ho ascoltato e accettato tutto quello che mi hanno chiesto.

Ci parli dei trattamenti di estetica oncologica che stai facendo con Giovanna?

Ho scelto di intraprendere questo percorso sempre nell’ottica di tenermi in forma e di prendermi cura di me.

La prima volta ho fatto un linfodrenaggio che ha eliminato subito le terribili occhiaie che avevo. Quando mi vidi allo specchio mi stupii a tal punto del risultato che dissi: “ sono nel posto giusto”.

Giovanna mi ha aiutato tantissimo anche nella cura della pelle. Quando sono arrivata nel suo Istituto la mia pelle era disidrata e si sfogliava in tanti punti e anche questo aspetto è migliorato molto.

Inizialmente comunque ci siamo concentrate sulla cura delle mani e dei piedi, perché avevo una tossicità farmacologica evidente, che per me era il problema più grave. Le mie unghie infatti avevano preso un colore bluastro con pus maleodorante. 

Giovanna mi consigliò e mi spiegò subito una pratica di autocura adatta al mio problema. Dopo due, tre giorni vidi già un netto miglioramento, soprattutto per quanto riguarda l’odore. Così ritornai a mostrare e usare normalmente mani e piedi, senza preoccupazione e senza vergogna. A quel punto mi fece un’adeguata pedicure e manicure per prevenire e migliorare ulteriormente lo stato delle mie unghie. 

Successivamente ho iniziato a prendermi cura del viso, secondo alcuni step consigliati da Giovanna, soprattutto per eliminare il gonfiore agli occhi

Visto l’arrivo dell’estate, mi spiegò anche di fare molta attenzione al sole e mi parlò della fotosensibilizzazione della pelle. Mi spiegò infatti che è molto importante proteggere la pelle del viso e del corpo per evitare l’insorgenza di ipercromie localizzate

In prossimità della radioterapia mi suggerì un altro trattamento con prodotti consigliati e mi spiegò come stendere la crema sul mio corpo e per quante volte al giorno ripetere la pratica per evitare rossore o addirittura ustioni alla pelle. 

Sono cose che nessuno ti spiega e invece sono importantissime per il nostro corpo e la sua salute.

Penso che Giovanna sia una professionista molto preparata e qualificata che con molta semplicità rende il percorso di guarigione dagli effetti collaterali molto più facile e alla portata.

Ora che ho terminato tutto il mio percorso per arrivare alla guarigione fisica continuo a frequentare l’istituto di Giovanna perché mi sento sicura e ho fiducia nei suoi trattamenti e nei suoi consigli. E, come mi ripete sempre lei, ho anche imparato a prendermi cura di me nell’ottica che nella vita ci vuole anche un po’ di sano egoismo.

Inoltre è una persona con cui su può parlare di tutto ed è come un’amica. Mi sono confrontata anche su altri aspetti, come quello nutrizionale. Anche su questo punto è molto attenta.

Presso il suo Istituto ho trovato inoltre prodotti eccezionali per la mia cura quotidiana, per la mia idratazione e Giovanna mi ha spiegato sempre con attenzione la loro funzionalità e come usarli. Mi ha per esempio insegnato come massaggiare il cuoio capelluto per favorire la ricrescita dei capelli.

Hai iniziato le cure estetiche contestualmente alle cure chemioterapiche?

No, iniziai qualche mese più tardi, perché vidi il suo manifesto in ospedale solo qualche tempo dopo, in occasione del mese di sensibilizzazione per la festa delle donne. 

Sarebbe stato molto utile iniziarle contestualmente alla chemioterapia per prevenire alcuni sgradevoli effetti e aiutarmi fin da subito. Sarebbe stato davvero importante.

Per questo sono convinta che ci vorrebbe un ambulatorio di estetica oncologica anche in ospedale, al pari del nutrizionista e della psicologa. Serve perché la pelle e la forma del corpo sono esse stesse benessere. Ed è molto importate vedersi allo specchio ed essere contente di se stesse, questo aiuterebbe a vivere il percorso di cura in maniera diversa, meno traumatica, più dolce.

Cosa è cambiato oggi dalla Michela di un anno fa?

A volte dico a me stessa che questa è un’altra vita, ma poi sento che la persona che si guarda allo specchio è sempre la stessa, più consapevole e forse migliorata. 

A volte guardo con nostalgia allo scorso anno, quando eravamo tutti assieme al mare, sotto il sole senza pensieri. Ma poi ragiono e vedo si tratta sempre della stessa persona, più positiva e più capace di vivere il momento presente. 

E’ cambiato infatti che sto con i mie bambini e con mio marito con una certa diversa pienezza, me li godo.

Sono più consapevole del mio corpo, di quello che mangio, di quello di cui ho bisogno. Ho ricominciato a leggere, a fare passeggiate, a rigenerarmi. 

Dopo questa tua esperienza cosa ti sentiresti di consigliare…

Di ricordarsi sempre di volersi bene a prescindere dalla malattia. Evitando di farsi troppe domande e di andare avanti. 

Siamo tante, purtroppo. Quando vai in ospedale ti accorgi che non sei l’unica e quindi continuare ad interrogarsi potrebbe essere controproducente.

Consiglio di prendere l’opportunità di farne un’esperienza di crescita personale, quindi di viverla il più possibile in maniera positiva. E di farsi aiutare, sempre, da tutti.

Per quanto riguarda l’aspetto estetico, consiglio di cercare di essere più belle che si può, perché anche se a qualcuno potrebbe sembrare un fattore secondario, questo è invece un aspetto molto importante sul cammino della guarigione.

Se vuoi maggiori informazioni sui trattamenti specifici di estetica oncologica, contatta Giovanna Olivieri.

Carmen Santi

Per Michela

E Giovanna Olivieri

Il viaggio di Tatiana

Il viaggio di Tatiana

La storia di Tatiana: dalla scoperta della malattia al viaggio interiore che l’ha portata a riscoprirsi e a prendersi cura interiormente ed esteticamente di se stessa.

Se dovessi parlare di lei senza averla conosciuta, parlerei comunque dei suoi occhi, azzurri, perché dicono alcune cose che nella trasparenza non riesci a definire ma che si intonano subito al suo sorriso. Un sorriso che si apre per illuminare la stanza, emanando una tranquillità che rimette immediatamente tutto in pace con il mondo. 

Se dovessi dire il suo nome, lo cambierei, per rispettare la sua vita e il suo mondo. Ma al di là della sua serenità, lei è una combattente, e forse la serenità che si porta addosso è proprio il risultato della sua personale battaglia. E proprio per questo non teme di dirlo, il suo nome, e di raccontare la sua storia.

Tatiana, una ragazza di 41 anni a cui nel luglio del 2018 è stata diagnosticato il morbo di Paget al seno, una rara forma di neoplasia della mammella, che, non scoperta in tempo, l’ha portata ad un intervento chirurgico e alle cure chemioterapiche preventive che si sono concluse 9 mesi più tardi.

La sua storia potrebbe essere quella di tante, ma invece è la sua, e proprio questo senti quando lei ti parla. “E’ toccato a me” e percepisci che quando ti tocca sulla pelle e senti con mano il sottile confine tra la vita e la morte, cambia tutto.

E certo, cerchi spiegazioni e ti chiedi perché la ginecologa non abbia capito in tempo di cosa si trattasse e perché la mammografia sia stata fatta sei mesi dopo, peraltro solo come controllo di routine, mentre tutto poteva essere risolto con una biopsia al momento del manifestarsi dei primi sintomi. 

Ma non è andata così, quindi ad un certo momento, Tatiana ha smesso di farsi domande senza risposta e ha cambiato prospettiva. Ha iniziato a chiedersi se dietro a quella malattia non ci fosse un motivo, qualcosa che lei, della vita, doveva ancora imparare.

Proprio questo pensa Tatiana oggi e noi scriviamo di lei perché oltre alle tante domande che ha ancora dentro, ha saputo fare un viaggio che condividiamo con voi. Un viaggio che può essere d’aiuto anche ad altri che stanno vivendo la sua stessa situazione o che hanno bisogno di capire quella dei propri cari, dei propri amici, o semplicemente cosa significhi vivere con una malattia. 

Siamo certi anche che non ci siano soluzioni universali e che ci sia solo la strada che ognuno decide di intraprendere per sé, nella condizione particolare in cui si trova, con gli strumenti che ha e con la consapevolezza che tra di noi ci si possa ancora sostenere. 

Tatiana, mi racconti come è successo? Come ti è stato diagnosticato il carcinoma? 

Tutto è partito con la una fuoriuscita di liquido ambrato dal capezzolo. La ginecologa all’epoca mi diagnosticò una dermatite. Il capezzolo si sgretolava e avevo prurito. Per quasi un anno ho continuato una cura lenitiva fino al momento in cui ho manifestato i miei dubbi. Vista l’età mi è stata ordinata una mammografia, che non essendo urgente, feci qualche mese più tardi. 

La dottoressa che la eseguì preferì fare un’ulteriore biopsia di controllo visto il seno fibrocistico. In quel momento si rivelò un carcinoma duttale in situ

Mi dissero che era stato preso in tempo, ma che essendo un carcinoma che poteva diffondere metastasi in altri organi vitali, era preferibile controllare anche l’altro seno, dove infatti aveva già iniziato a formarsi. Essendo agli inizi riuscirono però a toglierlo al momento stesso della biopsia. Fu rimosso completamente senza bisogno di altre cure. 

In quel momento pensai con rammarico a cosa sarebbe successo se avessero visto in tempo anche il primo carcinoma. 

Ti ricordi il momento della diagnosi?

Era metà luglio e avevo davanti a me alcune dottoresse. Mi avevano chiamato prima del canonico mese di attesa per la risposta, ma nonostante questo non mi aspettavo questa diagnosi. Sono sempre stata sana e in quel periodo stavo assistendo mio padre che viveva un aggravarsi della propria malattia. Lui conviveva con un tumore da nove anni, ma il suo stato era peggiorato negli ultimi mesi.

Ricordo queste parole: “Mi dispiace tanto…”. E poi ricordo che ebbi una sensazione strana: vedevo le persone ma non le sentivo, guardavo le loro labbra muoversi, a sprazzi sentivo parole sconnesse. Mi dissero che avevo un carcinoma ma che lo avevano preso in tempo e che ero fortunata. Piansi e me ne vergognai, perché non dovevo abbattermi dal momento che potevano curarlo. 

L’altra cosa che ricordo è che mi sentii subito circondata dalla vicinanza e dell’amore dei medici dell’ospedale di San Bonifacio. Sentii subito una sensazione positiva. 

Memore di non essermi ascoltata prima, volli però sentire un altro parere e mi rivolsi all’Ospedale Maggiore di Borgo Trento. Lì incontrai la dottoressa che successivamente mi avrebbe operata e quando mi visitò diagnosticò subito il carcinoma e per la prima volta mi parlò della malattia di Paget. 

Per una serie di circostanze mi sono appoggiata quindi all’ospedale di Borgo Trento, dove ho incontrato medici e personale di reparto di grande umanità. Li ringrazio ancora per il calore e l’ambiente che hanno saputo creare attorno a me. La dottoressa, il giorno del mio intervento, superò sé stessa perché dopo una giornata pesantissima, rientrò in ospedale per ricontrollare i miei drenaggi che non funzionavano come avrebbero dovuto.

Dopo quanto ti hanno operata?

La diagnosi è arrivata a metà luglio e l’intervento il 4 settembre, posticipato perché il 20 agosto mio papà è passato a miglior vita.

In questo periodo, in questa attesa, dopo che è venuto a mancare tuo padre, c’è stato un momento in cui hai avuto paura?

Forse proprio perché ero impegnata a seguire il mio papà, non ricordo un momento particolare in cui ho avuto paura. La mia malattia era in secondo piano. Ad oggi penso mio padre mi abbia dato la vita. Lui è mancato il 20 agosto quando ho fatto gli esami preparatori per l’intervento e io penso che la mia forza provenga da lui.

Non ho mai avuto momenti di cedimento profondo, non ho visto il baratro, le domande ci sono. Sento che da questa malattia devo capire qualcosa. Devo ancora scoprire cosa, ma forse il percorso è iniziato con il prestare attenzione a me stessa e con il prendermi cura di me.

Ci sono stati momenti più duri rispetto ad altri?

Alcune notti. Nei miei dialoghi interiori, quando le domande si facevano pesanti e non potevo che piangere. Ma poi al mattino era come se quelle domande perdessero forza e io ritrovassi ogni volta la forza di affrontare tutto. Per questo penso che mi abbia e mi stia aiutando mio papà.

Dopo hai iniziato a fare le cure chemioterapiche. Cosa è successo in quel momento?

Sì, quella è stata un’altra grande prova. Non me lo aspettavo, eppure ad ottobre mi dissero delle cure preventive. Fu un brutto colpo, una giornata difficile. Anche allora ero andata in ospedale da sola e ho dovuto trovare di nuovo un senso a tutto questo. 

Mi sono fatta forza e ho detto a mia madre che avevo bisogno di essere sostenuta in quel momento. L’ho destata dal suo dolore, perché avevo bisogno di aiuto. Quel giorno fu molto impegnativo. 

Il giorno successivo, dopo aver ritrovato le forze, capii che c’era ancora una volta un senso. Pensai che dentro di me dovevo consolidare quel cambiamento che già stava avvenendo.

Devo dire inoltre che sono stata fortunata perché una volta iniziata la chemioterapia non ebbi effetti sgradevoli, come nausea e vomito. Questo mi aiutò a capire che ognuno vive le cose in maniera diversa, fisicamente e psicologicamente.

Come è stata la prima volta?

Avevo paura per l’inserimento del PICC, perché alcuni pazienti mi avevano allertata sul fatto che mi avrebbe fatto male, ma io non sentii nulla. Strano a dirsi, proprio io che ho una paura folle degli aghi. Questo confermò ancora una volta che non sempre è un bene ascoltare le persone, perché ognuno vive la cosa a modo suo.

Da allora ho infatti imparato ad ascoltarmi di più. A capire cosa è bene per me, a conoscere anche meglio le persone, ad allontanarmi quando sento cariche negative. In quel momento faccio qualcosa di nuovo: penso prima al mio bene.

Vivere senza traumi indotti è importante in questo processo. Questo è il modo di vivere la terapia per me. Ho deciso di non farmi travolgere da quello che altri pazienti mi raccontano. Questa è la mia situazione e sono io a vederla con la mia telecamera. 

Quante sedute di Chemioterapia hai fatto?

Ne ho fate 4 di forti, con cadenza di 21 giorni, e 12 di meno forti a cadenza settimanale. Ho finito nei primi giorni di giugno. Come tutti, anche il mio, è stato un percorso non standardizzato: ci sono stati alcuni intoppi, come il calo dei globuli bianchi e quindi l’attesa e l’allungamento dei tempi.

Come è cambiato il tuo corpo?

Innanzitutto non ho avuto eclatanti perdite di peso, solo qualche chilogrammo in seguito all’intervento. Ma il corpo si debilita nelle forze, è più affaticato e c’è ritenzione idrica.

Ora sono seguita anche da una nutrizionista e aderisco al progetto Rebeca presso l’Ospedale di Borgo Roma, che prevede una sorta di programma stilato sulla mia fisicità per contrastare gli effetti delle cure. Si tratta di un programma di allenamento alternato tra cyclette e pesi.

Aderisco a questo progetto per me, ma anche per la ricerca che i medici stanno facendo attraverso me, in modo che anche loro abbiano un riscontro che possa aiutare a conoscere come contrastare meglio gli effetti delle cure.

Stai avendo risultati?

Sì, vedo risultati. Alcune mattine, dopo la chemio, facevo più fatica a fare attività, quindi riducevo il tempo di allenamento, ma non l’ho mai saltato. 

Mi ha aiutato a contrastare gli effetti della chemioterapia: rigidità alle gambe, pesantezza e affaticamento e in alcuni momenti una sorta di pressione all’altezza del cuore.

Lo shock della perdita dei capelli è stato tra le cose più difficili da affrontare? 

Ho imparato ad ironizzare. Non nego che al momento del taglio della prima ciocca mi sono sentita inghiottire, ma c’è stata una persona accanto a me, anche in questo caso la persona giusta al momento giusto, che sapeva e conosceva bene questo momento e mi ha sostenuta. E poi ho preso forza, l’ho affrontato. 

Sono tornata a casa, con il mio capo coperto da una parrucca. Ho ironizzato con mio fratello. Abbiamo riso assieme della nostra somiglianza, in quel momento.

L’ironia è stata la chiave che mi ha permesso di vivere con più leggerezza quel forte impatto. 

Vedersi con pochi capelli è dura, ma nel momento in cui decidi di rasarti la testa l’impatto è forte. Poi succede che ti accetti e che impari a piacerti nel tuo nuovo mondo.

Come è avvenuta la scoperta dell’estetica oncologica e l’incontro con Giovanna?

Avevo visto inizialmente l’articolo sulle cure estetiche oncologiche e l’intervista a Giovanna nel reparto di Oncologia di Borgo Trento. Avevo già fatto due chemio quando ho rivisto un manifesto che ne parlava, sempre in ospedale. Allora mi son detta che dovevo andarci. 

Così ho fissato il primo appuntamento. Sono andata nel suo centro di Vago di Lavagno e abbiamo parlato. Ci siamo confrontate su quanto stavo vivendo e su quali fossero i problemi che riscontravo e abbiamo concordato alcuni trattamenti, che sto tuttora facendo, e che per me sono stati importantissimi visto il riscontro che ho avuto.

Che tipo di trattamenti hai fatto o stai facendo?

Sto facendo alcuni trattamenti al viso, perché si è manifestato rush cutaneo e rossore. I miei capillari tendono a rompersi, quindi cerchiamo di calmarli in modo da evitare che la fragilità capillare si espanda.

Faccio altri trattamenti al viso per la fotosensibilizzazione, per evitare macchie iperpigmentate, arrossamenti ed eritemi e trattamenti nutrienti e sopratutto lenitivi.

Mi sottopongo anche a trattamenti manuali di linfodrenaggio al viso, al collo e al decollette.

I prodotti che Giovanna utilizza sono studiati e mirati per chi sta facendo questo percorso e sono prodotti per il viso e corpo con effetto protettivo, lenitivo, idratante, utili anche per controllare il prurito.

Il tutto viene fatto per prevenire e gestire gli effetti secondari delle cure, migliorando la qualità della vita e aumentando l’aderenza alle cure stesse.

Lo scopo principale del trattamento della tossicità cutanea è quello di ripristinare le barriere cutanee in tutti i suoi componenti.

Con Giovanna ho iniziato anche il trattamento corpo con pressomassaggio a causa della ritenzione idrica, particolarmente concentrata negli arti inferiori.

Infine mi ha insegnato a prendermi cura della sindrome mano-piede, perché con i farmaci chemioterapici ho iniziato ad avvertire formicolii nel palmo delle mani e nei piedi, inoltre bruciore, gonfiore ed eritema in tutte le zone di maggior pressione, appoggio e sfregamento.

Quanto è stato importante per te nella malattia prenderti cura di te stessa?

La cura di sé ti dà forza, ma devi avere forza per farla. Devi avere forza e coraggio. Perché non è scontata. 

In questo anno ho vissuto un momento particolare, ho scrutato nel mio profondo. Ho riconosciuto le mie paure, anche se nel buio a volte ho fatto fatica ad entrare. Comunque l’ho fatto e ne è valsa la pena, perché così ho imparato ad affrontare le cose che mi spaventavano di più guardandole in faccia e non proiettandole all’esterno. 

Ho capito che le paure più grandi sono quelle che abbiamo dentro di noi. Capisco anche che non sia facile. Ma ora so che si può fare.

Il fatto di prendersi cura esteticamente di sé è una partenza ed è un circolo. Puoi cominciare da questo, per ritrovare poi te stessa. Nel mio caso è iniziato anche da un’introspezione personale e poi il mio prendermi cura è stato un grande aiuto. 

Quella del mio corpo è una bellezza che cerco per star bene, per sentirmi bene. Si tratta di una cura che ha un impatto psicologico dentro di me. Un impatto positivo che è fondamentale in questo momento.

Un messaggio a chi ci legge?

All’inizio quando ti viene diagnosticata una malattia come la mia, è comprensibile che ti crolli il mondo addosso. Sei praticamente in tilt, e non sai davvero cosa fare. Però consiglio di credere nella profondità di sé stessi. Perché le forze ce le abbiamo dentro e possiamo superare ogni cosa. 

Dentro ad ognuno di noi c’è un mondo immenso. Ho scoperto forze che non pensavo di avere e tanta bellezza, pur nella drammaticità del momento. 

Anche se ho sperimentato il confine veramente sottile tra la vita e la morte e anche se i momenti di scoraggiamento ci sono stati, ho sentito comunque una grande forza dentro per non mollare e anche ora dico a me stessa, e a tutti, una cosa che mi sono ripetuta spesso: “Tu hai tutto, non ti manca nulla”.

Carmen Santi

per Tatiana Spezie

e Giovanna Olivieri

Se vuoi avere più informazioni sui trattamenti di Estetica Oncologica contatta Giovanna, che sarà lieta di risponderti direttamente, o compila il form per avere informazioni via e-mail.